La sindrome di Bridget Jones e la paura di non trovare un partner

La sindrome di Bridget Jones: quando il desiderio di trovare un partner si trasforma in ossessione.

La sindrome di Bridget Jones, chiamata in gergo anuptofobia, riguarda tutte le donne che fanno quotidianamente i conti con la paura di rimanere single.

Non molti anni fa, superata una certa età, la donna non sposata veniva subito marchiata come zitella, oggi invece abbiamo trovato una nostra dimensione lavorativa e professionale e spesso il desiderio di creare una famiglia viene messo in stand-by.

Eppure con il passare del tempo per qualcuna di noi arriva il fatidico momento in cui si inizia a mal sopportare il ticchettìo dell’orologio biologico.

La sindrome di Bridget Jones tende a colpire soprattutto le donne tra i 30 e i 40 anni.

I trentenni di oggi sono cresciuti con l’idea che “single è bello”, che sia meglio vivere la propria giovinezza senza impegno, cercando di sperimentarsi il più possibile in tante situazioni e legami, spesso non proprio sani.

Così dopo aver collezionato una serie di flirt vuoti e senza spessore, dopo aver congelato i propri sentimenti per bandire l’amore da qualsiasi relazione, eccoci a fare i conti con la paura di non avere nessuno al proprio fianco.

Qualche amico inizia a sposarsi, qualcuno ha già un figlio in cantiere e noi ci ritroviamo il sabato sera in abiti succinti a sperare che l’uomo della nostra vita entri magicamente nel locale di turno.

La sindrome di Bridget Jones: un’ossessione

Quando il pensiero di trovare un partner diventa ossessivo, tutta la quotidianità viene scandita intorno ad un unico obiettivo: stabilire un legame. In realtà in questa ricerca disperata non ci lasciamo guidare dai sentimenti, ma solo dalle nostre angosce.

Il risultato sarà inevitabilmente catastrofico: pur di non restare zitelle siamo capaci di accontentarci di chiunque.

Chi soffre della sindrome di Bridget Jones non è alla ricerca dell’amore vero, prova solo la necessità di tappare un bisogno personale.

Generalmente le persone anuptofobiche hanno una bassa autostima e la tendenza a mantenere un legame vincolante con i propri genitori, al punto tale da considerare che nessun partner potrà mai essere all’altezza del proprio padre.

Dobbiamo prima fare i conti con la nostra solitudine per riuscire a guardare l’altro come una persona distinta da noi e non come un mezzo per curare le nostre ferite. Solo allora potremmo dire di aver conosciuto il vero amore e magari sperare in un lieto fine.

Se sei alla ricerca di letture sull’argomento, ti consiglio:

  • Ama e non pensare dello psichiatra Raffaele Morelli
  • La ferita dei non amati (questo testo è un po’ più tecnico; ripercorre i vissuti dell’abbandono e il modo in cui questi possono determinare le difficoltà attuali con il partner)

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